di Gaia Agnelli - foto Rafael La Perna

Lo Spomenik di Barletta: quel sepolcro "alieno" che si erge in ricordo dei partigiani jugoslavi
BARLETTA – Una scultura "aliena" che pare provenire da un altro pianeta. È questa la sensazione che si prova osservando lo “Spomenik” di Barletta: un particolarissima opera architettonica realizzata nel cimitero cittadino per commemorare i partigiani jugoslavi caduti in Italia durante la Seconda guerra mondiale, le cui spoglie sono conservate all’interno della struttura.

Il monumento fu voluto dal presidente jugoslavo Josip Broz Tito, che a partire dal 1953 fece realizzare una serie di sepolcri per omaggiare i soldati morti in battaglia contro i Nazifascisti. Alcuni di questi Spomenik vennero fatti costruire proprio in Italia, lì dove l’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia si era battuto accanto ai nostri partigiani.

Ne furono creati quattro: a Gonars (in Friuli Venezia Giulia), a Roma, ad Arezzo e a Barletta. Quello pugliese fu inaugurato il 4 luglio del 1970 e venne realizzato in stile brutalista dallo scultore Dušan Džamonja con l’aiuto dell’architetto Auf-Franic. Accoglie le salme di 825 uomini, tutti uccisi nell’Italia meridionale.

La scelta di collocare un monumento a Barletta non fu casuale, visto che qui durante la guerra fu attivo l’ospedale “Raffaele Musti” che curava gli jugoslavi che lottavano sia in Italia che dall’altra parte dell’Adriatico. All’epoca i 175 partigiani che non sopravvissero alle ferite riportate furono seppelliti in un’area a nord-ovest del cimitero locale, per poi essere spostati 54 anni fa all’interno dello Spomenik assieme agli altri 650 provenienti da varie zone del Sud Italia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accompagnati dall’architetto Rosanna Rizzi, attiva nella salvaguardia di quest’opera, siamo quindi andati a visitare il momumento, che si trova come detto all’interno del camposanto cittadino, nel quartiere Settefrati. (Vedi foto galleria)

Una volta varcato l’ingresso ci imbattiamo subito in un cartello che riporta la scritta Za Spomen-Kosturnicu, che in serbo-croato segnala la presenza dell’ossario. Oltrepassato un arco ci ritroviamo dinanzi a un viale alberato che si fa spazio tra le tombe, al termine del quale si erge l’imponente Spomenik.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’impatto visivo è notevole. L’opera, interamente in cemento armato non rivestito, è formata da blocchi di pietra più bassi a forma di vela (simbolo di una nave pronta a tornare in Patria) e da sette steli alte 11 metri che si lanciano verso il cielo quasi come a voler vegliare e proteggere i resti dei caduti. Struttura che si sviluppa a raggiera su un nucleo centrale ellittico aperto, che fa da lucernario al piano sotterraneo dove si trova il sepolcro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Prima di scendere nella cripta perlustriamo il momumento, avvertendo mentre camminiano una strana sensazione di destabilizzazione. «Uno dei principi costruttivi di Dzamonja era proprio l’interazione fisica e psicologica - dichiara Rizzi -: visitando lo Spomenik ci si sente spaesati, coinvolti e avvolti dall’architettura. Sembra quasi di salire e scendere, come se fossimo su un sentiero incrinato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Notiamo poi come a differenza dei cimiteri che accolgono i soldati inglesi (a Bari) e polacchi (a Casamassima), non siano qui presenti croci e simboli religiosi. «Gli spomenici sono laici - sottolinea l’esperta -: furono realizzati con l’obiettivo di creare un memoriale senza riferimenti a una cultura specifica, sottolineando così come le vittime restano tutte uguali».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attraverso una scala rivestita in lastre di granito scendiamo ora nel sepolcro, lì dove siamo accolti da una scritta sulla parete che recita in serbo-croato “Ai combattenti della guerra di liberazione della Jugoslavia 1941-1945, memoria di eterna gratitudine”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci ritroviamo così nell’atrio centrale sul cui pavimento si apre una vasca circolare in mosaico rosso (come il sangue versato in guerra) al centro della quale giacciono dei fiori appassiti e un nastro con i colori blu, bianco e rossi dell’ex Jugoslavia. Sulle nostre teste si apre invece il lucernario, da cui posssiamo scorgere le steli che fanno da guardia al monumento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le pareti laterali, sia a destra sia a sinistra, sono caratterizzate da tre file di elementi in bronzo dietro cui si nascondono le cassette funebri. Mentre sulle porte che danno accesso alla parte retrostante dell’ossario, sono riportati i nomi dei 825 defunti, più quelli di 463 dispersi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Nomi completamente dimenticati - afferma Rosanna-. Il luogo è raramente visitato dai parenti delle vittime: d'altronde sono passati tanti anni e in molti nemmeno sanno di avere antenati a Barletta. Il colpo di grazia è poi arrivato nel 1991, quando la Jugoslavia, alla quale era stato concesso il suolo, si è disgregata in tanti stati indipendenti, rendendo così questo posto una terra di nessuno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo stato di abbandono è in effetti evidente: il cemento riporta grosse crepe e, tra macchie d’umidità e salsedine, è visibile a occhio nudo come parte della struttura stia lentamente franando.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un vero peccato, considerando l’importanza storica e architettonica di questo Spomenik, che si affaccia senza soluzione di continuità sul mare Adriatico: quello da cui sono giunti gli eroici partigiani che riposano da tanti decenni nel cimitero di Barletta. 

(Vedi galleria fotografica)


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